di Miriam Minerba

“Creo per conoscere me stessa, conscia di essere frammento di un’umanità immersa in un sonno generatore di mostri. Voglio svegliarmi da questo sonno, con la certezza che se io lo faccio, anche altri
faranno lo stesso.”
La mia intervista all’artista galatinese Amanda Durer, al secolo Maria Amanda Stefanelli, inizia così.
Le chiedo: “Perché crei?” e lei continua rispondendo: “Abbiamo numerosi strumenti per nutrire le nostre
anime e convertire in risorsa ciò che può sembrare ostacolo, uno dei più potenti è l’arte. Creare ci
mantiene vivi e presenti, ci mantiene svegli.”
Raccontaci qualcosa della tua vita, prima che Maria Amanda Stefanelli diventasse Amanda Durer:
“Studio illustrazione e Belle Arti a Barcellona, dove vivo fino al 2021, ma la mia formazione attraversa
anche la scultura e l’arte grafica.
In Spagna trovo terreno fertile per esprimere la mia arte: faccio parte, con altre artiste italiane e straniere,
del collettivo Femme Brutal, che supporta anche economicamente progetti senza scopo di lucro e
l’espressione artistica al femminile”.
Qualche tuo progetto recente?
Dal 2018 collaboro con la galleria-laboratorio “La Maldita Estampa” con sede a Barcellona, con cui
partecipo alla decima edizione della “FIG Bilbao”, Fiera Internazionale dell’Arte Grafica celebrata nel
novembre 2021 nei Paesi Baschi. Nel 2022 sono visiting artist alla residenza artistica Baroque Blue
Ionian SeArt Residency, prodotta da Primo Piano LivinGallery e diretta dalla curatrice Dores Sacquegna
con l’atto performativo “La Terra ascolta”.
Come nasce “Amanda Durer”?
Mi piace definirmi melomane, e mi ispiro tra gli altri ad Albrecht Dürer. È un omaggio a lui, pittore e
incisore rinascimentale, poiché mi ha da sempre ispirato. È anche un gesto autoironico. Ho eliminato la
dieresi per richiamare senza identificare. Oltre a lui, mi ispiro anche a H. Bosch, Eduardo Kingman,
Dumile Feni, W. Kentridge. Tra le donne, amo Kate Kollwitz, Maria Lassnig, Louise Bourgeois. Ma
senza dubbio l’artista che mi ha cambiato per sempre è stato Egon Schiele, espressionista austriaco allievo di Klimt.
“La legge interna” è il titolo della sua ultima mostra, che si è tenuta a Lecce dal 21 gennaio al 18
Febbraio ’23 presso il Torchio d’Arte “La Stella”, curata da Dores Sacquegna. Cos’è per te la legge
interna?

“La legge interna” è per me la fitta trama di equilibri che connette ogni cosa, un Logos di stoica memoria
che garantisce l’unità razionale dell’intero cosmo. Ciò si manifesta anche nel processo creativo, in cui
l’opera fluisce attraverso di noi, che siamo allo stesso tempo canali e un tutt’uno con essa. Rappresenta la
commistione tra Arte e Alchimia, un processo di ricerca della Verità che passa attraverso le trasformazioni
della materia. E’ per questo che per realizzare le mie opere ho scelto delle matrici trattate all’acquaforte.
Parlaci di questa tecnica e del processo di creazione.
L’opera “La legge interna” è una ricerca di sperimentazione formale, realizzata con la tecnica
dell’acquaforte. Come materiale ho scelto il ferro, perché questo metallo facilita il tipo di acidatura che
volevo usare, e perché il suo costo contenuto mi permetteva di non avere vincoli per quanto riguarda la
misura delle matrici. Il fatto che il ferro sia poco usato nell’incisione rispetto al rame e allo zinco ha
nutrito ancora di più la mia voglia di indagare e sperimentare le possibilità di questo materiale.
Dunque non solo Arte, ma anche viaggio interiore
Sì. “La legge interna” costituisce una mappa grafica e psichica, il diario del cammino verso una
conciliazione interiore che si proietta simbolicamente nel corpo stesso del mondo. Ogni cosa si intesse in
una fitta maglia di eventi, percezioni, sincronicità, corrispondenze, riflessi, relazioni di causa-effetto,
governata dalle mute leggi dell’ordine universale.

Photo courtesy Amanda Durer

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