di Elisa Cazzato
Una suora attraversa Piazza Tommaseo, in un’atmosfera calda e primaverile, con passo veloce, sguardo vivace, schiena dritta nonostante lo zaino pesante. Sembra una studentessa ma in realtà è una docente, suor Cinzia, la suora della mia prima giovinezza milanese, responsabile dello studentato in cui ho abitato per tre anni in pieno centro di Milano, proprio in quegli anni in cui ho iniziato ad avvicinarmi al mondo del design e a frequentare il Fuori Salone, che quest’anno con grande gioia è arrivato anche qui, all’Istituto delle Marcelline, nel cui teatro è stato allestito Teatro Albers, una celebrazione del design contemporaneo artigianale. Le due curatrici, Ambra Medda e Veronica Sommaruga, sono state allieve della scuola, unendo così il loro progetto alle loro origini.

Anche io sono partita dal luogo delle mie origini nella vita milanese per percorrere una settimana di allestimenti spettacolari ed incontri interessanti, tra fili tematici da intrecciare nel telaio dei pensieri. Il primo filo che cuce un po’ tutta la mia visita è proprio il teatro, a partire da quello delle Marcelline, fino al non molto distante Teatro Litta dove Zanat, azienda bosniaca di produzione di mobili, ha portato sul palcoscenico l’atto del lavoro degli artigiani, permettendo ai visitatori di salire sul palcoscenico stesso e di gustare per qualche minuto l’emozione dello scricchiolio del pavimento di legno e della platea vista dall’alto.
Dal teatro appena accanto sono passata nell’omonimo palazzo delle meraviglie, Palazzo Litta, dove si è espressa forse la quintessenza di questo primo Fuorisalone davvero lontano dalla preoccupazione della pandemia, con Doppia Firma, ogni anno imperdibile mostra di Living Corriere, Fondazione Cologni Mestieri d’Arte e Michelangelo Foundation for Creativity and Craftmanship, che mette in dialogo un artigiano d’eccellenza e un artista, producendo sempre opere spettacolari. Oltre a quello tra i due creativi, si aggiunge sempre il dialogo con il prestigioso luogo prescelto, quest’anno un palazzo nobiliare ricco di tessuti, materiali e colori, che ben ha accolto la ludica leggerezza delle opere create, in alcuni casi dei veri ricordi d’infanzia tradotti in oggetti colorati e movimentati; ma anche riflessioni più adulte come il tavolino Le Temps recante incise le famose frasi di Seneca: ars longa, vita brevis.

Dopo il magnifico Palazzo Litta, un’altra tappa obbligata, come ogni anno, è stato l’appuntamento di Artemest, che questa volta ha presentato il progetto in una elegante dimora degli anni ’30: “L’Appartamento”, un mondo di sogni introdotto in prima battuta proprio da un’altalena all’ingresso, quasi un ricordo del gioco negli interni, un rimando alla libertà, forse una metafora della voglia di evadere mentre si era costretti a stare al chiuso, vissuta negli anni appena trascorsi.

Il giorno successivo mi sono recata presso un altro spazio rinnovato in chiave di design, un vero luogo destinato al gioco, ovvero il Tennis Club Bonacossa, i cui spazi interni sono stati reinterpretati con eleganza istituzionale da Cristina Celestino.

Il teatro, l’appartamento, il palazzo, il circolo tennis, ma ancora mancava una tipologia di edificio che in generale prediligo, fino a quando sono arrivata alla chiesa sconsacrata di San Vittore e 40 Martiri, dove Galerie Philia ha allestito Desacralised con oltre venti designer contemporanei che hanno reinterpretato oggetti sacri esclusivamente in bianco. Sicuramente una visita molto particolare, poiché dal tentativo di desacralizzazione ne è risultata un’aurea ancora molto sacrale, quasi mistica, soprattutto nel mio orario di visita, in cui un raggio di sole fendeva le pareti della chiesa logorate dal tempo.

E dato che i percorsi non finiscono mai di stupire chi li intraprende, da una chiesa sono passata addirittura ad un ex macello, precisamente quello di Porta Vittoria, letteralmente preso d’assalto da tantissima gente, seppure più dislocato rispetto ad altri eventi. Date le dimensioni dell’allestimento, dell’edificio stesso e la mole di designer partecipanti (circa 90) è difficile descrivere una sensazione unica proveniente da questo tipo di ambiente, sicuramente essa è difficile da raccogliere, data anche la grande diversità dei progetti, ma aver visto tanta vita pullulare, in un luogo destinato alla morte, resta impresso…

Il terzo giorno di visite è stata un’immersione in tutt’altro tipo di situazioni, infatti sono tornata nei luoghi di Milano più noti al pubblico del FuoriSalone e non, per visionare i progetti portati avanti dai grandi marchi di moda.
La prima visita è stata in Bottega Veneta, in via Montenapoleone, dove Gaetano Pesce ha creato Vieni a Vedere, un’installazione che ricrea l’idea di una grotta in cui scoprire le due borse d’artista commissionate dal marchio all’artista; poi ho proseguito verso Dior che ha presentato la prima collezione di mobili, firmati da Philippe Starck; poi da Hermès e Loro Piana con i loro progetti speciali.

Chicca imperdibile di quest’edizione è stata certamente l’apertura straordinaria di Palazzo Orsini, sede prestigiosissima di Giorgio Armani, ma questa è un’altra storia, una storia d’amore che merita un prossimo racconto qui.
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