di Elisa Cazzato

Fotografie di Francesca Romano

Fuori il paese, nei suoi ritmi lenti: qualcuno esce dalla storica Pescheria Fanelli, qualcuno chiacchiera fuori dal Bar Bielle 2000.

Siamo alla fine del Sud, a Gagliano del Capo, il paese dei miei nonni, ormai sempre più conosciuto per una chicca dell’ospitalità: Palazzo Daniele.

Le forme esterne del palazzo mi sono note: fanno parte della mia infanzia i profili delle case bianche, gli interni delle chiese, le insegne delle attività immutate.

Ma dentro, dentro il palazzo è tutto incantato. Varchiamo la soglia con il nodo di emozione in gola di chi sta per compiere un viaggio molto desiderato.

Nell’atrio ci sentiamo accolte con una piacevole leggerezza, nonostante la monumentalità dell’edificio, costruito nel 1861.

“Questa casa non è un albergo”. Non una semplice affermazione, ma la verità: non passa neanche qualche minuto, che già sentiamo di essere ospiti da sempre.

Apriamo la porta che ci conduce agli interni, nelle nove suites progettate dal duo milanese Ludovica + Roberto Palomba. Respiriamo un profondo silenzio, ma non di epoche troppo remote: è una pace contemporanea, come le numerose opere d’arte esibite con una certa naturalezza nelle stanze e negli ambienti comuni.

La storia qui non pesa, è anzi sospesa tra soffitti riccamente affrescati e pavimenti maiolicati.

Prima della ristrutturazione, infatti, il palazzo era pieno di mobili antichi, mentre ora pieno spazio è offerto al presente, che si fa luogo nei vuoti fisici che lasciano grande libertà mentale.

D’altronde la memoria ha necessità di essere del tutto rappresentata visivamente o può aleggiare come custode quasi invisibile di uno spazio?

Talmente forte è l’impressione di essere in una casa e non in albergo, che ci si immagina di recarsi a piedi nudi in cucina, il regno di quattro cuoche che, sotto lo sguardo aristocratico di una donna della famiglia Daniele, ritratta in una posa severa, lavorano per trasmettere la filosofia culinaria delle origini.

Attraversiamo il giardino incantato, un Eden si direbbe, dove tra enormi teorie di edere e l’agrumeto che introduce alla cappella privata, ci si concentra nel qui e ora senza altre distrazioni.

Degustiamo il frutto di questo lavoro teso a rappresentare essenzialità e tradizione tra sapori antichi, come il pane al modo in cui lo facevano i nonni, e intermezzi quasi ironici, come il cocktail di gamberi che ricorda qualcosa di molto amato negli anni ’80. Siamo in una posizione privilegiata: nel Kaffehaus nell’agrumeto, tra le attenzioni e la cura di una squadra che unisce la professionalità ad un senso amichevole dell’accogliere l’ospite.

L’esperienza resta impressa nella memoria, in questo piccolo mondo paradisiaco che sembra distante da tutto e in cui, ad ogni alito di vento, onde composte di edera si agitano, lampade  oscillano cautamente, foglie di piante antiche puntano nella stessa direzione.

Lascio che il caso prenda il sopravvento su tutto ciò che normalmente è ricercato e mi abbandono al sentimento di corrispondenza totale tra dove si vorrebbe essere e dove si è. Non vorrei infatti essere che qui, ed ora, tra atmosfere rarefatte, come in certi quadri di Vincenzo Ciardo, e il mistero di ogni luogo antico.

https://palazzodaniele.com/it/experiences-collection/lultimo-dei-romantici/

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